Dentro le trincee della Grande Guerra
Per due sabati consecutivi è venuto nelle classi 3C, 3B e 3D Gianni Sestucci, insegnante del nostro istituto comprensivo e grande appassionato di storia. Con i suoi modi gentili e la sua capacità di narrare gli avvenimenti della storia visti dal punto di vista della gente comune, ci ha raccontato la storia di un ragazzo di Castiglion Fiorentino – di famiglia benestante – che, ai tempi della Grande Guerra, sceglie di arruolarsi come volontario e avventurarsi nella terribile esperienza della guerra. La sua esperienza di vita è testimoniata dalle lettere che aveva scritto e che sono conservate all’Archivio storico dei diari di Pieve Santo Stefano.
Da Castiglioni andrà a Torino per frequentare una scuola militare e addestrarsi per diventare soldato al fronte e qui non conosce ancora la realtà della guerra, perché agli addestramenti e allo studio della mattina alterna momenti di divertimento e svago della sera, quando esce con i ragazzi e le ragazze del posto per frequentare locali e bere alcool. Quello che è strano è che dice di avere freddo nelle notti estive torinesi e ancora non sa che freddo troverà nelle notti in trincea nelle Dolomiti! Dopo qualche mese di addestramento verrà trasferito nelle trincee del Carso.
Lì conosce una realtà tremenda: il freddo nelle montagne era intenso, tanto che durante le marce morivano centinaia di soldati, in trincea la vita era molto dura e la paura di morire era all’ordine del giorno. Nelle trincee i soldati vivevano tra la sporcizia, il fango, i pidocchi, il cibo scarso e di poca qualità, i vestiti e le scarpe non adatte alle temperature del luogo. Scopre che la realtà della guerra è completamente diversa da come l’aveva immaginata: da casa l’idea che le persone avevano della guerra era romantica, con i soldati trattati come eroi perché difendevano la patria, invece non era affatto vero, la trincea era un inferno. Prima di ogni attacco al nemico ai soldati veniva fatto bere alcool, quindi quando vedevano arrivare le casse di bottiglie, avevano paura perché capivano che ci sarebbe stato presto l’assalto ai nemici. In questi assalti morivano centinaia di giovani e rimanevano per molto tempo nella “terra di nessuno” (spazio tra trincee nemiche).
I soldati avevano paura di questi combattimenti che avvenivano con la baionetta, a corpo a corpo, ma avevano anche paura di andare a tagliare con le pinze il filo spinato delle trincee nemiche, perché era facile che venissero avvistati dai nemici e sarebbero di sicuro stati colpiti da una pallottola (i tiratori austriaci che combattevano contro gli italiani erano molto abili, infatti la parola “cecchino” – al servizio di “Cecco” cioè l’imperatore Francesco Giuseppe deriva da loro). Ma la cosa che faceva più paura di tutti ai soldati era il gas: un nemico invisibile che non era possibile prevedere quando sarebbe arrivato. Vennero distribuite delle maschere per proteggersi, ma la paura rimase sempre. Anche il ragazzo di cui ci ha raccontato la storia Gianni Sestucci è morto a causa della inalazione di questi gas mortali: i suoi polmoni non reggono l’intossicazione e dopo qualche tempo dal congedo al fronte muore.
Alla fine del racconto e della lettura di alcune parti di queste lettere, Gianni Sestucci ci ha mostrato dei disegni per spiegarci come funzionavano le trincee e ci ha fatto anche osservare un video che ripercorre la storia del soldato di Castiglion Fiorentino con il sottofondo della musica di De Andrè. È stato un incontro molto emozionante che ci ha fatto riflettere sulla tragicità della guerra e sulla morte di tante persone ancora molto giovani, grandi poco più di noi.
Carlo Manneschi, Samuele Parrini, Samuele Sisti, Samuele Falini, Matteo Friscia 3D